L’articolo di questo mese racconta la storia di un “nostro” piccolo grande paziente.
Un bambino nato con un soffio al cuore degenerato in un’insufficienza aortica successivamente sottoposto a due interventi. A 14 anni di distanza dall’ultima operazione durante la quale gli è stata inserita una valvola meccanica, Thomas Ceccarello, oggi super papà e lavoratore quarantaquattrenne, ci racconta come gli è cambiata la vita. Una testimonianza di speranza e di fiducia che ci aiuta anche a capire le problematiche riscontrate da un “bambino cresciuto”.
Thomas, possiamo dire che sei un po’ la mascotte di Un Cuore Un Mondo Padova Onlus?
Sì, effettivamente la mia storia è piuttosto emblematica e mi sento di dire che sono cresciuto insieme all’Associazione. Fin dalla nascita sono stato preso in cura dalla Cardiologia e Cardiochirurgia di Padova. Mi definisco un “caso anni ‘70”. La cosa che mi colpisce tanto è leggere le testimonianze che arrivano in Associazione: sono passati circa quattordici anni dal mio secondo e ultimo intervento ma mi rendo conto che le problematiche riscontrate dagli adolescenti di oggi sono le stesse che avevo riscontrato anch’io. Bisogna fare qualcosa.
Come hai vissuto il passaggio da bambino ad adolescente? E soprattutto il rientro alla vita quotidiana una volta uscito dall’ospedale?
Guarda, io crescevo e con me cresceva la consapevolezza del mio problema. Non è stato facile ma oggi, che sono diventato genitore, mi rendo conto che paradossalmente è stato più difficile per i miei genitori: io ho avuto tempo per metabolizzare, loro hanno dovuto farne i conti subito e l’impatto è sicuramente più devastante. Uscendo dall’ospedale e vivendo il quotidiano le cose sono un po’ cambiate: come tutti ho vissuto la fase del voler dimostrare che potevo farcela e anzi che potevo fare qualcosa in più dei miei coetanei, a scuola e nello sport in primis.
La difficoltà che hai riscontrato in quegli anni?
Da ragazzini non si conoscono i propri limiti e per chi ha una patologia come la mia è chiaro che il coefficiente di rischio aumenta. In questa fase la difficoltà più grande sta nel trovare una via di mezzo tra la libertà assoluta, potenzialmente molto pericolosa, e la campana di vetro che inevitabilmente ci soffoca. Spesso la tendenza è quella di limitare il ragazzo per paura che poi stia male e il risultato, specie per caratteri tosti ed esuberanti come il mio, è spesso l’opposto.
Concretamente cosa potrebbe aiutare un “bambino cardiopatico cresciuto” nella gestione del suo quotidiano?
Secondo me sarebbe utile se uscendo dall’ospedale ognuno potesse avere una propria scheda, una sorta di microchip, dove è raccolta tutta la propria storia medica. Un supporto, multilingue, in grado di spiegare in modo esaustivo e completo chi sei e cosa hai, da poter utilizzare sempre a maggior ragione durante le emergenze. Servirebbe a noi pazienti ma anche a tutti i medici che spesso non conoscono le nostre patologie. Viaggiando molto per lavoro ad esempio a me è capitato di avere un problema all’estero e per fortuna sono stato in grado di spiegarmi. Non sono cose banali da gestire.
Un altro aspetto da considerare è la certificazione medico sportiva: analizzare in maniera più approfondita le patologie del cardiopatico adulto sarebbe utile perché oggi tutto funziona secondo schemi prestabiliti che troppo spesso non tengono conto di variabili importanti e soggettive. Anche andare a vedere cosa succede negli altri Paesi ad esempio potrebbe essere utile.
La stessa attenzione andrebbe inoltre riposta nell’ambito assicurativo.
Oggi non c’è un ente di riferimento capace di accogliere a queste tematiche?
No purtroppo oggi non c’è nulla di simile. Tutto è lasciato alle singole capacità e conoscenze. Serve tanta pazienza e tanto tempo. La burocrazia è veramente pazzesca. A noi cardiopatici adulti, e ancor di più ai genitori degli adolescenti affetti da tali patologie, servirebbe davvero un organismo unico a cui fare riferimento. Un ente dove condividere le esperienze, un ente che conosce le nostre necessità, i nostri limiti ma anche le nostre potenzialità; una struttura di riferimento in grado di darci risposte adeguate alla nostra età e alla vostra vita quotidiana. Sapere che fuori dall’ospedale c’è un mondo strutturato e in grado di prendersi cura delle persone affette da cardiopatie al pari del personale medico, sono certo sarebbe motivo di serenità anche per tutte le mamme e i papà dei bambini oggi ricoverati. E’ proprio a loro che dobbiamo pensare, ai nostri futuri “bambini cresciuti”.