Cari Amici e Amiche,
nei mesi scorsi vi abbiamo fatto conoscere chi si occupa dell’accoglienza delle famiglie, chi le affianca dando supporto psicologico e chi allena i ragazzi attraverso la riabilitazione e la pratica dello sport. Ora ci sembra doveroso farvi conoscere le nostre attività da un altro punto di vista: quello di chi sta in corsia impegnandosi, giorno dopo giorno, a curare i nostri piccoli pazienti.
Per questa newsletter di maggio abbiamo rubato qualche minuto alla Dott.ssa Roberta Biffanti, dirigente medico di primo livello, cardiologo pediatra presso l’Ospedale di Padova.
Buongiorno Dott.ssa Biffanti, lei ha iniziato a frequentare e poi lavorare con il team dei cardiologi pediatri qui a Padova nel 1986. Ripensando a questi venti anni, come è cambiato il suo lavoro?
Indubbiamente un cambiamento c’è stato in termini di tipologia di patologia e di diagnostica e trattamento delle cardiopatie congenite: il tipo di patologia trattata si è fatto via via sempre più complessa anche perché i risultati chirurgici hanno permesso anno dopo anno un futuro anche alle cardiopatie più difficili. Come tali però queste cardiopatie hanno bisogno prima e dopo l’intervento di un trattamento ad hoc, più sofisticato e sicuramente più importante rispetto a quanto veniva fatto dieci o quindici anni fa. L’emodinamica interventistica in questo ha dato una svolta ed un contributo importantissimo. Un altro cambiamento importante, a mio parere c’e’ stato anche nel follow-up dei nostri pazienti. Nuove metodiche di studio ora a nostra disposizione (test da sforzo con la valutazione anche della ventilazione, risonanza magnetica cardiaca, aritmologia pediatrica con il trattamento percutaneo delle aritmie cardiache, ecc) ci permettono di seguire al meglio i nostri pazienti ed essere supportati da equipe di medici ultraspecialistici nella fase di analisi e di follow up dei pazienti ci ha fornito quella metodica e quella sicurezza che senza dubbio fa la differenza.
Le diagnosi prenatali sono uno dei successi della scienza di questi anni: voi come pediatri cardiologi vi trovate quindi spesso a “conoscere” il vostro paziente quando ancora è nella pancia. A quel punto il vostro paziente diventa la mamma?
Sì, normalmente è il ginecologo o lo specialista che indirizza le mamme da noi quando ha il sospetto di una cardiopatia o di una malformazione al feto. Attraverso l’attività ambulatoriale noi verifichiamo la diagnosi e qualora venga confermata un’anomalia spetta a noi comunicarla e spiegarla ai genitori. E’ una fase molto delicata perché da un lato il nostro compito è quello di esporre la problematica, dall’altro è fondamentale farlo nel modo più comprensibile, rispettoso ed emotivamente accettabile. Una mamma e un papà non sono mai pronti a sentirsi dire che il loro bambino nascerà non sano: spesso mi rendo conto che tutte le spiegazioni successive a questa prima notizia non sempre vengono recepite perché lo shock è talmente forte che nessun’altra notizia trova spazio nelle loro teste. E non posso che comprenderle.
Lei è mamma?
Sì lo sono, ma quando indosso il camice mi spoglio della “veste emotiva” di mamma per poter svolgere al meglio il mio compito di curante. E ammetto che da certe mamme io imparo sempre: alcune sono da ammirare per come sanno accettare la loro situazione, per come sanno vivere e far godere ed accettare al proprio figlio il meglio che la vita gli puo’ dare. Sono forti e insegnano a esserlo.
Sempre a proposito di mamme, da voi tornano anche ex pazienti che diventano mamme vero?
Si le ragazze che sono state sottoposte ad un intervento chirurgico in eta’ pediatrica, e che oggi affrontano una gravidanza fanno riferimento a noi per un’eventuale diagnosi prenatale. Sono forse più preparate e più consapevoli (in queste pazienti il rischio di avere un figlio con una malformazione cardica aumenta rispetto all’incidenza dell’8% della popolazione normale) perché in un certo senso ci sono già passate. Sanno inoltre che le conosciamo e noi ricominceremo a prenderci cura di loro e della loro famiglia futura.
Una pediatra che continua a seguire il suo paziente anche da adulto quindi?
Eh in certi casi sì, seguo pazienti che vidi per la prima volta neonati e che ora sono adulti. Tornano per fare gli accertamenti, molto spesso ci scrivono chiedendo un parere su un certo sintomo o appunto ci coinvolgono qualora ci sia il desiderio di una gravidanza. Il nostro è sicuramente un rapporto a lunghissimo termine e per questo la mole di lavoro si è modificata sia nella quantità che nella qualità: abbiamo i pazienti ricoverati oggi ma in un certo senso continuiamo a monitorare quelli che lo erano ieri.
In reparto fate 250 cateterismi cardiaci l’anno. Ci spiega di cosa si tratta e perchè è così frequente?
Il cateterismo cardiaco è un esame diagnostico invasivo utilizzato quando con un ecocardiografia non si ottengono tutte le informazioni necessarie a capire e programmare la cura della cardiopatia del bambino, o quando vi sia la possibilità di un intervento correttivo o palliativo praticato per via transvenosa. Tale tipologia di procedura rappresenta storicamente il mezzo diagnostico fondamentale per lo studio delle cardiopatie congenite ed un importante strumento terapeutico nel loro trattamento. D’altro canto un numero sempre maggiore di cardiopatie congenite viene trattato con successo in emodinamica mediante procedure interventistiche.
Cardiopatie quali pervietà del dotto arterioso, difetto interatriale e stenosi polmonare solo eccezionalmente richiedono l’intervento chirurgico. Questo e’ stato un traguardo importante per la medicina perché è un esame che non comporta il decorso tipico di un intervento: prevede circa tre giorni di ricovero, la procedura in se’, e quindi il distacco dalla mamma, dura al massimo due o tre ore, il bambino si “addormenta” in braccio alla sua mamma, dove peraltro si risveglia, e non lascia cicatrici.
Più recentemente, l’approccio combinato cardiochirurgico e interventistico ha consentito importanti successi terapeutici (procedure ibride).
Il cateterismo cardiaco può essere eseguito in bambini di qualsiasi età, anche neonati già nelle prime ore di vita.
Se potesse esprimere un desiderio, che cosa vorrebbe vedere di nuovo o di diverso nel suo lavoro?
Ne avrei tanti…piu’ personale, piu’ spazi, piu’ tempo…Per esempio aver la possibilità di accogliere un paziente e sottoporlo nella stessa giornata a tutti gli esami utili per la diagnosi dandogli subito un feedback più preciso. Durante una mattinata in ambulatorio vediamo circa otto pazienti: qualcuno arriva con degli esami già fatti, a qualcuno dobbiamo prescriverne di nuovi che farà in altre sedi, con tempi di attesa variabili, a volte anche molto lunghi, poi manderà i referti e noi a quel punto dovremmo tirare le conclusioni; i tempi si allungano, i disguidi possono capitare i genitori attendono magari anche con un po’ d’ansia, e questo complica di piu’ le cose.
Pensando poi ai bambini ricoverati soprattutto quelli con alcune difficoltà logistiche familiari, sarebbe bello se accanto all’Ospedale ci fosse una vera e propria “casa” per le loro mamme o la famiglia: specie nei casi più delicati, avere la possibilità di un alloggio vicino all’Ospedale, dove magari stare con il secondo figlio quando questo è piccolo e non può prescindere dalla mamma, credo rappresenti un aiuto concreto e un modo per colmare le tante difficoltà che incontrano. Oggi tutti gli alloggi che conoscono sono gestiti da volontari: sarebbe bello aiutarli!